LA POESIA
DEI RUOLI A BORDO - Parte III
Il timoniere
e il tattico
Appena più
dietro, rovescio sul timone, tra introspezione ed autismo siede lui. Il
sensitivo, il leggendario, il divino timoniere. Vive in una realtà
unica, compressa in uno strato sottile, un mondo laminare dominato da filetti
fluidi in perenne scorrimento. Li vede entrare dal dritto di prua, li sente
vibrare lungo il mascone di sottovento, li percepisce fremere lungo la carena e
li accarezza mentre risalgono lungo la pala del timone. Gli pervadono la mano,
gli percorrono il braccio invadendogli l’intero corpo per sfociare finalmente
nel cervello, dove si mescolano all’altra acqua che vi trovano dentro.
L’abilità maggiore risiede proprio nel fluttuare armoniosamente assieme ai
filetti stessi e, vibrando come uno spermatozoo, il divino timoniere cerca la
sua boa neanche fosse l’ovulo da fecondare. Lui non parla, geme. Non timona,
freme. Non regata, compone, lui che del moto ondoso è sia lo scultore che il
pittore.
Alle sue
spalle, appollaiato nel suo eremo, si erge torvo l’essere umano straziato dal
dubbio. Pur non muovendo un solo dito, sopporta stoicamente tutto il peso della
regata. Lui è il tattico, la mente creativa, l’amletico. Lui realmente
non è sulla barca, lui vive più in alto, con la testa tra le isobare. Orzare o
poggiare, virare o strambare: questo il dilemma. Dei massimi sistemi, della
vulcanologia, del buco dell’ozono, della tettonica a zolle, della stessa volta
celeste, è il grande analizzatore. Le sue sudate meningi, del vento vivono ogni
singulto, ne ricercano il ritmo, ne studiano il respiro, per poi finalmente prendere
la grande decisione: facciamo come gli altri!!
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